IL PESO DEI CONFINI GIÀ TRACCIATI

Le molteplici sfumature dell’essere come diritto di nascita.

Per rispetto dell’intimità della persona messa nero su bianco in questo spazio, non ci saranno nomi, non ci saranno luoghi e alcuni dettagli saranno modificati per tutelare la delicatezza di quell’intervento che ha fatto nascere in me il desiderio di abbracciare quella ragazza con il microfono in mano e il dubbio della vita sul cuore.

Sono seduta al bar, caffè macchiato e croissant sul tavolino e un sole intenso sul viso. La piazza è gremita di gente e l’ospite dell’evento che anima la città sta invitando i presenti a fare domande. Eccola lì, quella giovane donna che d’un tratto si è fatta riflesso della me adolescente. Lunghi capelli biondi, un nome che porta luce. Alza la mano, prende il microfono, si presenta e si mette a nudo. Così, libera. Una libertà e un coraggio che però lei ancora non vede. Non riconosce, tanto da farsi scudo con le sue spalle ricurve e una mano leggermente tremolante.

Si apre, e apre in due, con una verità disarmante.

“Sono al quarto anno delle superiori e non posso lasciare questa scuola ora. Tutti mi dicono che mi devo specializzare, però io non voglio fare quello. Io voglio fare altro.”* Eccola lì, la saggezza resa umana e affidata al vento. Poi continua, “sono in ritardo?”. È lì che, forse presa dal mio istinto materno, avrei voluto abbracciarla e abbracciare quell’innocenza. Non potevo fisicamente raggiungerla, così questa volta ho affidato io al vento un messaggio: cara C., non sei in ritardo, non lo sarai mai. Ascolta la tua voce e insegui il tuo sogno. Te lo dico da donna, che lo ha fatto alla vigilia dei 32, e te lo dico da mamma, tutto ciò che desideriamo noi genitori è vedervi pervasi dalla felicità.

Quelle sue parole, però, mi sono restate dentro tutto il giorno, tanto da sentire il bisogno di mettermi davanti al pc e lasciare fluire quei pensieri.

È quel bisogno di trasformazione di un sistema che incoraggia la sottomissione, la resa e il sacrificio, anziché la libertà, l’ascolto, l’esperienza e l’audacia di essere sé stesse, in tutte le sfumature, senza limiti e senza logiche di tempo.

La specializzazione viene vista e promossa come sinonimo di successo, di perfezione, di magnificenza. Ma non è così. O meglio, non è così per tutti. Pensiamo ad esempio a Leonardo da Vinci, nato nel 1452, in sessantasette anni di vita fu: pittore, inventore, architetto, ingegnere, scultore, poeta, filosofo, matematico, anatomista, astronomo, compositore, cartografo, fisico, meccanico, agente diplomatico, geologo, chimico, botanico, caricaturista. Davvero ci ostiniamo a pensare che non è possibile vivere e sperimentare più interessi in una sola esistenza? Suvvia. Liberiamoci da queste false credenze che c’è un tempo per lo studio, finalizzato esclusivamente alla professione, e un tempo per il lavoro, svolto rigorosamente nella fatica (perché solo così si può portare a casa del denaro “onesto”).

È tempo di affidarsi al proprio sentire, è tempo di fare il salto “quantico” verso una realtà che va al di là di quanto ci è sempre stato narrato come verità assoluta. È tempo di essere. È tempo di vivere e di farlo bene. Non siamo destinate a colorare la nostra vita con un unico pastello, solo perché un giorno abbiamo scelto quello. Anche se era il nostro preferito e ci piaceva così tanto da crederlo nostro per sempre.
Il cambiamento è una fase vitale di qualsiasi essere vivente, noi donne comprese.

Questo è il vero senso dell’accettazione, non un riconoscimento passivo, ma uno sguardo amorevole verso sé stesse, così potente da riflettersi nel mondo, in un nuovo Rinascimento.

* E quell’altro lei lo sa identificare con una precisione millimetrica.

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